GERUSALEMME - Card. Carlo Maria Martini

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Dal 2002 il Card Martini ha scelto di vivere a Gerusalemme; tra i motivi principali che lo hanno spinto a questa scelta c’è il desiderio di vivere una “preghiera di intercessione” per la pace nella Terra Santa e nel mondo intero.
Ci sentiamo profondamente in comunione con questo Pastore che tanto ha dato e tanto continua a dare al cammino delle Chiese di tutto il mondo in questo scorcio di storia.

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Da una conversazione con una delegazione dell’Istituto Paolo VI di Brescia, in visita a Gerusalemme per ricordare il quarantesimo anniversario del viaggio di Paolo VI in Terra Santa, il 4, 5 e 6 gennaio del 1964.

“Che cosa mi ha portato a Gerusalemme? Quando mi chiedono il perché io abbia scelto di vivere a Gerusalemme, rispondo che non lo so. È stato lo Spirito Santo. Sono quelle ispirazioni di cui non si può rendere ragione logica. Mi viene in mente sempre quel passo degli Atti degli Apostoli al capitolo 20 in cui Paolo dice agli anziani di Efeso e Mileto: “Avvinto dallo Spirito vado a Gerusalemme senza sapere che cosa mi capiterà”. Mi sono lasciato attrarre da questa parola e da questa forza dello Spirito.[…]

Sono molto contento di essere qui perché Gerusalemme è veramente un luogo di simboli straordinari, è un luogo in cui si respira la storia biblica, dai patriarchi, ai profeti, fino a Gesù, alla sua passione, morte e resurrezione. È un luogo pieno di fascino per il cristiano, per il credente, perché qui è stato Gesù, questa è stata la terra che Lui ha visto, il cielo che Lui ha contemplato, le pietre che Lui ha calpestato, i luoghi dove ha sparso il suo sangue, i luoghi in cui si è diffusa la parola: “È risorto”. Io trovo qui un’ispirazione continua per la mia preghiera, per la mia meditazione.

Vivo, inoltre, la preghiera che definisco d’intercessione, nel senso etimologico della parola, “cammino in mezzo” a diversi contendenti senza voler dare ragione o torto né all’uno né all’altro, ma pregando ugualmente per tutti. La situazione politica odierna è così intricata e aggrovigliata che anche un competente farebbe fatica a spiegare oggettivamente ciò che è avvenuto, perché e come. Non conosco l’arabo, so l’ebraico biblico, ma non quello moderno. Non ho titoli per giudicare. Ho preferito […] mettere in pratica la parola di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati”. Qui soffrono tutti molto. È difficile dire: “Soffre di più quello, soffre di più questo”. Chi comincia la lista delle ragioni, dei torti? Si va all’infinito. E non si uscirà se non con qualche passo nuovo.

D’altra parte questo luogo non è solo luogo di conflitto, è soprattutto luogo di dialogo. Si svolgono molti dialoghi a livello di base: dialoghi tra ebrei e cristiani, dialoghi tra ebrei e musulmani, dialoghi triplici tra ebrei, musulmani e cristiani. Ci sono moltissime istituzioni a Gerusalemme che coltivano queste forme di dialogo. E ci sono anche tante iniziative di accoglienza, di perdono, di riconciliazione, di aiuto, di assistenza, di volontariato. Ciò è veramente straordinario.

Ho incontrato qualche tempo fa due persone che sono molto conosciute nella vita professionale di questo paese, un ebreo e un arabo. Entrambi hanno avuto in famiglia un lutto per la violenza e hanno deciso di mettersi insieme per capire l’uno la sofferenza dell’altro. Così è nato un gruppo di famiglie, ciascuna delle quali ha un figlio o una figlia uccisi dal terrorismo, dalla guerra, ecc. Queste famiglie si ritrovano regolarmente, si parlano fra loro, fanno iniziative di pace.
A mio parere questa è la strada, la via della giustizia. Bisogna rendere giustizia a chi merita giustizia, e qui molti gridano perché meritano giustizia. Come dice Giovanni Paolo II e lo ha ripetuto più volte, “non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Se vogliamo soltanto vendicare i torti ricevuti, si finisce in una spirale di violenza com’è l’attuale […].

Non vedo aperture politiche di pace se non in un cambio di mentalità. Bisogna sperare che questi dialoghi a livello di base portino, a poco a poco, a una cultura che all’inizio diventi opinione pubblica – visto che i mass media attualmente non sanno quasi nulla di questa realtà di dialogo, di incontro, di assistenza, di aiuto – e domani diventi anche fatto politico. La speranza c’è, la preghiera per la pace è continua. So che la mia intercessione e la mia preghiera valgono poco, però le metto come goccia nel fiume immenso della preghiera della Chiesa, che poi è la preghiera di Cristo intercessore, come dice san Paolo: “Cristo vive sempre intercedendo per noi”. Ho totale fiducia in questa preghiera perché so che il Signore la ascolta, magari non con fatti subito clamorosi ma con la pace che Egli semina nei cuori.”

Scarica:

a) + Card Carlo Maria Martini - Un grido di intercessione

b) + Card Carlo Maria Martini - Intercedere: farsi carico dell’altro